Oggi si parla tanto di Welfare Aziendale, e lo si fa in tutti i modi possibili, ma ancora pochi riescono a vederlo a tutto tondo e nelle sue varie sfaccettature;  ma soprattutto come una leva straordinaria per la promozione del cambiamento nelle organizzazioni e nel mondo delle Risorse Umane.

Come se fosse un magico cubo di Rubik proviamo a conoscere tutte le facce di questo welfare che sta cambiando in maniera silente il modo di ''fare'' e di ''essere'' in azienda.   


Engagement , motivazione, conciliazione vita-lavoro, benessere dei lavoratori,  nuovo modello di relazioni industriali e incentivazione verso organizzazioni più flessibili, welfare territoriale e di comunità, rete di imprese, ma potremmo continuare ad elencare parole e concetti del linguaggio aziendale e sociale.

Attraverso il welfare si raggiungono un miglior benessere ed anche notevoli vantaggi economici su diverse aree:  

RELAZIONI INDUSTRIALI: 

Si è passati da welfare discrezionale delle aziende ( citiamo il caso Adriano Olivetti o Luisa Spagnoli; fino alle esperienze più recenti di ENI, Pirelli, Marzotto, fino alle grandi banche , alle aziende di telecomunicazioni o multinazionali; fino ad arrivare ai giorni nostri con  Ferrero o Brunello Cucinelli, solo per citarne alcune) a welfare contrattuale e conversione del premio di produttività in servizi welfare.

Anche qui lo scenario cambia o meglio aggiunge una nuova tipologia di “fare welfare”, introducendo attori fino adesso marginali nelle tematiche Welfare , le Organizzazioni Sindacali e di Categoria. In realtà non è del tutto vera questa affermazione; in quanto negli Enti Bilaterali della Previdenza integrativa, così come in quelli della Assistenza Sanitaria Integrativa o dei Circoli Ricreativi Aziendali, la presenza del Sindacato c’è sempre stata.

Le OOSS però non erano state interessate in fase di contrattazione sulle politiche di welfare unilaterale che alcune aziende mettevano in essere; in quanto secondo il legislatore di allora sarebbero dovute  rientrare nel plafond del reddito come costo del lavoro.

Oggi le Organizzazioni Sindacali contribuiscono sia nei rinnovi contrattuali collettivi o di secondo livello/territoriale ad inserire o somme dedicate al welfare (il contratto collettivo dei metalmeccanici ha fatto in questo da apripista) o decidendo di convertire tutto o parte del premio di produttività in servizi welfare su scelta volontaria del lavoratore, grazie alle leggi di stabilità 2016-2017.

 

IL PATTO DI FABBRICA: Un nuovo modo di intendere le Relazioni Industriali 

Ma  a questo nuovo quadro delle relazioni industriali, già di per sé innovativo, si è aggiunto il cosiddetto patto di fabbrica siglato il 9 marzo 2018 tra Confindustria e Organizzazioni Sindacali che sancisce “un sistema di relazioni industriali più efficace e partecipativo sia necessario per qualificare e realizzare i processi di trasformazione e di digitalizzazione nella manifattura e nei servizi innovativi, tecnologici e di supporto all’industria”.

La parte interessante per ciò che riguarda il welfare è il punto 6 del patto, dove si afferma che è volontà comune di Confindustria e Cgil , Cisl e Uil intervenire prioritariamente , attraverso specifiche intese, su alcuni ambiti che sempre più stanno interessando le relazioni industriali e la contrattazione:

  1. Welfare
  2. Formazione e competenze
  3. Sicurezza sul lavoro
  4. Mercato del lavoro
  5. Partecipazione

Al PRIMO POSTO...IL WELFARE: contrattuale, integrato e coordinato 

E non è un caso che al primo posto sia stato messo il Welfare. Pur ritenendo entrambe le parti sociali di salvaguardare il carattere universale del welfare pubblico; sono convinte che forme di bilateralità possono integrare il sistema di relazioni industriali e del modello contrattuale contribuendo alla realizzazione di un welfare contrattuale integrato e coordinato.

In questa direzione anche l’ABI, l’associazione delle banche italiane, afferma che l’attenzione al benessere nel lavoro rappresenta un fattore di profonda innovazione in ambito aziendale e può rivelarsi un’importante risorsa, anche gestionale, nel tessuto economico e produttivo nazionale. La definizione di politiche di cura del dipendente passa attraverso interventi di tipo culturale che consentano di individuare modelli orientati alla più moderna accezione di sostegno al potere d’acquisto e all’occupazione.

Si sta passando sempre più dal tradizionale scambio prestazione-salario allo scambio prestazione/benessere

RETI AZIENDALI:

Mettersi insieme, fare rete, tra le aziende, tra le istituzioni, nel lavoro e nella vita.

Basta accostarsi per un momento all’identità culturale che sta dietro la idea di Welfare Condiviso di Jointly per capire che avere più forza nel ”dare un aiuto” non è un’idea nuova, ma non sempre facilmente realizzabile per via  di individualismi mai sopiti (anche da parte di chi si dovrebbe occupare di sociale).

 

SHARING ECONOMY E WELFARE AZIENDALE

Pensiamo per un attimo alle Società di Mutuo Soccorso dei primi del ‘900, nate per coalizzarsi e mettere in comune risorse proprie per offrire mezzi di sostentamento ai consociati; oggi chiameremmo senza dubbio questo modo di operare ”sharing economy”.

Aggregare la domanda di sostegno è tornato ad essere un focus fondamentale dei governi e della società , ma anche delle aziende mettendo  insieme professionalità e progettualità diverse.

In questo le iniziative di welfare aziendale hanno dato una forte spinta; e ciò è avvenuto  non solo in chiave di autotutela, sotto forma di mutue e di assicurazioni/previdenze integrative, ma anche dal punto di vista di chi offre servizi:

Unire la domanda produce economie di scala, riduce la frammentazione, crea massa critica.

WELFARE AZIENDALE: Territoriale e di Comunità

L’esperienza di molti progetti mostra come il welfare di comunità e territoriale porta ad avvicinare persone e aziende con caratteristiche a volte anche diverse; con un abbattimento dei costiproponendo dei servizi “disegnati” sulle esigenze specifiche dei dipendenti.

La visione del welfare  aziendale, che noi abbiamo, ci porta a sottolineare la necessità di creare servizi che aiutano le persone a conciliare la propria attività lavorativa; a creare vicinanza con le persone, a stare bene in azienda, valori spesso dimenticati . Ecco perché la qualità delle prestazioni fornite diventa tema fondamentale.

Molto più di una piattaforma digitale...

Nella sharing economy va da sé che le piattaforme digitali, come quella di Jointly, possono essere un mezzo aggregativo potente, ma devono essere sempre più personalizzate e parlare anche con volti e voci alle persone.

In più è necessario, da parte di chi gestisce queste piattaforme, un controllo di qualità serrato sulla offerta di servizi. E’ prioritario conquistare la fiducia delle persone attraverso informazione e formazione, in una organizzazione flessibile e meno gerarchica.

Le piattaforme di welfare aziendale che rimangono sul piano della somma dei soggetti coinvolti; tutti regolarmente presentati con indirizzo, telefono ecc., non possono che essere altro che  una vetrina in cui ciascuno continua a rivendicare la propria  fetta della torta.

IL VERO SALTO DI QUALITA' ? Ragionare con la logica del People Caring

Il salto di qualità avviene se ci si riesce a fondere in una entità nuova; capace di parlare con una voce e farsi conoscere, attraverso le proprie persone, i propri partner, i propri operatori ed i propri contatti.

Perché nulla di più umano è il rapporto di aiuto alle persone che lo richiedono e di lavoro giornaliero per il benessere delle stesse. Insomma un welfare aziendale senza politiche di People Caring e senza una organizzazione flessibile può essere un boomerang che può creare più danni che vantaggi.