Un italiano su sette (14%) è un caregiver familiare, cioè si prende regolarmente cura di un familiare non auto-sufficiente sia dal punto di vista psico-fisico che logistico. Sette milioni di persone – 7,29 milioni in base alle nostre analisi su dati Istat –che svolgono un’attività impegnativa su base regolare, e sono di fatto un attore cruciale all’interno dei piani di assistenza socio-sanitaria. “Di fatto” perché il loro ruolo spesso è invisibile: l’Italia non riconosce formalmente questa figura – anche a livello statistico è molto complesso reperire dati omogenei e aggiornati – e non ha politiche di supporto attivo ai caregivers familiari, come invece i paesi scandinavi o Francia e Germania. Eppure in un caso su quattro  si tratta di un vero e proprio secondo lavoro, se consideriamo che il 25% dei caregivers dedica più di 20 ore settimanali alla cura del proprio famigliare, con un forte sbilanciamento di genere – il 70% di loro è una donna – e un coinvolgimento più diffuso nella fascia di età tra i 45 e i 54 anni, proprio nel momento in cui ci sono maggiori possibilità di crescita in ambito professionale. Un impegno su due fronti quindi, entrambi molto complessi e sfidanti, per il quale la maggior parte delle persone non è preparata e che rischia di generare stress e malessere. Basti pensare che il rischio di ammalarsi è doppio rispetto a coetanei senza carichi di cura e da questo rischio non sono esenti neanche i giovani, nuovi attori del sostegno famigliare: sono 45mila i ragazzi nella fascia di età 15-24 anni che dedicano  più di 20 ore settimanali a nonni sempre più anziani ma anche a genitori fragili; ma sono molti di più - ben 400 mila - quelli che svolgono questo delicato compito in maniera meno intensiva e  regolare. Quello dei caregivers familiari lavoratori è un tema cruciale che l’Italia dovrebbe affrontare con urgenza, considerando l’invecchiamento della popolazione e la sostenibilità del sistema socio-sanitario e previdenziale pubblico. Al momento però non c’è ancora una Legge nazionale unitaria su questo tema: al Senato c'è un disegno di legge (DDL 1461) per riconoscere dignità al lavoro di cura e  sbloccare  l’impiego organico dei fondi dedicati, ma nel frattempo solo alcune Regioni come l’Emilia Romagna  (Legge n°2/2014) stanno già fornendo un supporto concreto sia alla persona fragile che al caregivers familiare che la assiste. E così il ruolo del welfare aziendale è tutt’altro che sussidiario, perché risponde a bisogni sempre più diffusi ma ancora poco affrontati. Difatti oltre la metà dei nuovi contratti aziendali hanno introdotto interventi specifici per chi si prende cura di un famigliare fragile o non auto-sufficiente, a partire dall’ascolto e dai bisogni dei propri collaboratori: in molte realtà è emerso – tramite survey interne – che una persona su quattro svolge compiti di cura. Quali sono però i passi più urgenti da compiere e le misure più efficaci da adottare per sostenere sia la persona fragile che il caregiver? E’ prima tutto fondamentale che i caregivers siano riconosciuti nel loro ruolo da parte degli altri famigliari, dei colleghi sul posto di lavoro ma anche del personale sociale e sanitario con cui vengono in contatto in modo da diventare parte attiva e consapevole  di un  piano di assistenza . Hanno un ruolo cruciale, che richiede tempo e competenze quindi è necessario aiutarli nel gestire il loro impegno ma anche fornire loro le informazioni e la preparazione necessaria. E poi hanno loro stessi bisogno di tempo – attraverso per esempio  servizi di conciliazione nella domiciliarità  – ma anche di supporto psicologico, ma prima di tutto  di formazione. Quella che la nostra cooperativa chiama “educational care” un servizio online sempre più richiesto per imparare a conoscere il  mondo della cura e assistere il famigliare fragile, anche rispetto alle specifiche patologie. Dalla nostro esperienza altri due strumenti molto utili sono i gruppi di auto-mutuo aiuto (anche questi si possono organizzare online)- per condividere le proprie esperienze e  conoscenze – e il sollievo a domicilio attraverso l’affiancamento di un operatore qualificato  , per prendere una “boccata d’aria” e riprendere contatto con  i propri interessi e affetti.

Con la collaborazione della Cooperativa Sociale “Anziani e non solo”