Il wellbeing: non un benefit ma una strategia di welfare aziendale per il benessere e l’engagement

Il wellbeing è lo stato di benessere grazie al quale il collaboratore è in grado di impiegare al meglio le sue capacità cognitive ed emozionali, sia all’interno della sfera professionale che in quella privata. Grazie all’adozione di questa strategia di welfare aziendale è in grado di rispondere alle esigenze quotidiane della vita, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri e a partecipare in modo costruttivo ai mutamenti del contesto in cui è inserito. Gli ultimi due anni saranno ricordati non solo per la pandemia ma anche per la profonda trasformazione che il COVID-19 ha portato nel mondo del lavoro. Ciò che fino ad un anno fa era la sperimentazione di poche aziende all’avanguardia oggi è diventato un imperativo per tutte: modificare le modalità, gli spazi e i tempi dell’attività professionale, ripartendo dal benessere e dall’engagement dei propri collaboratori.

Wellbeing e nuova organizzazione del lavoro

È il wellbeing infatti la principale sfida a livello globale per le organizzazioni – e la terza, per importanza, in Italia insieme ad innovazione e qualità dei processi – secondo una recente indagine di Deloitte. Perché se da un lato la nuova organizzazione del lavoro e la trasformazione digitale hanno avuto in molti casi un impatto positivo sul business, dall’altro hanno modificato profondamente la quotidianità di persone e aziende, facendo emergere alcuni punti critici. Le nuove modalità di lavoro, come il lavoro da remoto, hanno permesso la continuità del business e, se ottimizzate, possono generare – in base all’indagine BCG The Workplace of the Future - un aumento strutturato del 15-40% in termini di produttività, con una contestuale riduzione dell’assenteismo (-40%) e del turnover (-10 o anche -15%). Anche in Italia la ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, condotta in collaborazione con Doxa, conferma che la produttività si è mantenuta stabile e che in un caso su cinque (21%) i collaboratori hanno anche acquisito nuove competenze e skills per poter svolgere al meglio il proprio lavoro. Ma – avverte l’Osservatorio - la lontananza obbligata dall’ufficio ha i molti casi provocato nei lavoratori senso di isolamento e smarrimento, con conseguenze negative sul senso di appartenenza all’organizzazione e sul benessere personale ed organizzativo. Solo, a casa più di un lavoratore su tre (39%), ha avuto difficoltà a mantenere un buon rapporto tra vita privata e lavoro e rischia il burnout dovuto all’iperconnessione e alla mancanza di occasioni per “staccare”. Ad essere in difficoltà sono anche i manager: più della metà – il 66% in base allo studio Balancing well- being and performance in the virtual workplace, realizzato da BCG e Awaris, realizzato su 550 manager a livello globale, - riporta livelli più alti di stress. Una stragrande maggioranza (81%) dichiara di aver faticato a fissare i confini e disconnettersi dal lavoro. In particolare, la ricerca ha evidenziato un disagio crescente tra le persone che devono gestire e motivare i team. Analizzando in maniera più granulare il dato sulla produttività in task individuali, manageriali e collaborativi, quest’ultima voce registra un netto peggioramento (56%) rispetto al periodo pre-Covid. La produttività non rima quindi con il benessere/wellbeing?

Wellbeing significa superare la difficoltà nell'equilibrare vita privata e lavoro

In questo bilancio in chiaro-scuro il livello di engagement dei collaboratori misurato dall’Osservatorio tra il 2020 e 2021 si è ridotto di oltre 10 punti percentuali (dal 76% al 64%). Per cogliere le nuove opportunità di lavoro non è quindi più sufficiente mettere a sistema lo “smart working” sperimentato in fase emergenziale, ma è fondamentale riprogettare l’esperienza lavorativa delle persone, dentro e fuori l’azienda, facendole stare bene. Per questo si parla di wellbeing. Nei nuovi modelli di lavoro ibrido sfumano definitivamente le dicotomie tra la dimensione personale e professionale, tra casa-lavoro, lasciando spazio a una nuova visione integrata dell’employee experience e dell’engagement. Quello che sta emergendo è un approccio olistico delle aziende al wellbeing inteso come benessere dei collaboratori, che diventa poi benessere organizzativo. Un salto di qualità, da offerte standardizzate e spesso frammentarie - come l’assistenza sanitaria, i flexible benefit, il nido aziendale - a nuovi programmi mirati al benessere a 360°: orari di lavoro flessibili, misure di work- life integration, consulenza su come mantenersi in forma e in salute.

Wellbeing e livello di engagement dei collaboratori

Il livello di engagement dei collaboratori può essere misurato attraverso le quattro dimensioni del benessere/wellbeing: fisico, emozionale, finanziario e sociale. Più il livello di wellbeing è alto migliore sarà l’engagement dei collaboratori. Secondo la ricerca di Willis Towers Watson’s Wellness Diagnostic Survey, che ha interpellato 200 datori di lavoro a livello globale che gestiscono complessivamente più di 1,7 milioni di persone, ha riconosciuto come vincente dalla maggioranza dei datori di lavoro (80%) le pratiche di social wellbeing: identificare e promuovere attività di interazioni sociali tra collaboratori, famiglie e community in modo da migliore il loro senso di coinvolgimento. Anche perché se ben comunicato oltre che strutturato, un piano di welfare di questo tipo può aumentare l’identificazione e l’engagement dei collaboratori del +30%. Il dato deriva dalla ricerca Jointly Voice, svolta in collaborazione con il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano, analizzando nel tempo un campione rappresentativo di 30 mila lavoratori. Sei pronto ad affrontare la sfida del wellbeing nella “New ways of working”? Scopri attraverso questo breve questionario (2 minuti di compilazione) a che punto è la tua strategia di sostegno al Benessere dei dipendenti!  https://bit.ly/3layWO2