A FIRMA DI:
CLAUDIA MANZI Professoressa Ordinaria di Psicologia Sociale, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
ELEONORA REVERBERI Assegnista di ricerca in Psicologia Sociale, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Dall’inizio della pandemia e fino ad oggi in Italia la famiglia, ancora una volta, e forse più di prima, ha funzionato come ammortizzatore sociale e caregiver primario, assumendosi la responsabilità della cura e della gestione dei carichi familiari in completa autonomia, a fronte di uno Stato che l’ha supportata ben poco, specialmente nella prima fase dell’epidemia (marzo-aprile 2020). Ma ora, a distanza di un anno, soprattutto i genitori hanno le “pile scariche”! I dati raccolti dalla nostra ricerca “COVID-19 e conciliazione familiare e lavorativa: quali sfide e risorse?”[1] rivelano infatti una grande difficoltà delle famiglie. La ricerca, condotta a livello nazionale, ha coinvolto in 3 raccolte dati (aprile 2020, luglio 2020 e dicembre 2020) oltre 300 persone (di cui, oltre i due terzi donne con figli), con l’obiettivo di monitorare il cambiamento nel tempo dei livelli di stress e le strategie di conciliazione familiare e lavorativa. Oltre la metà del campione considerato è infatti lavoratore dipendente. I dati raccolti ci consentono di mettere a fuoco alcuni punti interessanti: il primo è che gli aumentati carichi di cura hanno pesato, e continuano a pesare, quasi esclusivamente sulle spalle delle famiglie. Infatti, sebbene nelle diverse fasi dell’epidemia sia avvenuta una parziale riapertura dei servizi per l’infanzia e delle scuole, la rilevazione fatta a dicembre 2020 evidenzia che la gestione dei figli minorenni è ancora tutti sulle spalle dei genitori: quasi uno su tre (31%) dice di occuparsene in prima persona e gli aiuti esterni al nucleo famigliare si sono fortemente contratti. La paura del contagio ha ridotto all’osso il ricorso a personale esterno alla famiglia (meno di una famiglia su 10 ha una baby-sitter) e alle risorse presenti nella famiglia allargata (poco più di una famiglia su 10 chiede aiuta a nonni e parenti, probabilmente per proteggere dal contagio gli anziani). Di conseguenza, il secondo punto che si evidenzia, riguarda la conciliazione fra lavoro e famiglia: come sappiamo, la maggior parte dei lavoratori dipendenti di attività non primarie ha dovuto lavorare da casa per la maggior parte del tempo, e questo si è dovuto conciliare con le necessità di seguire i figli sempre più presenti in casa per il ridotto funzionamento della scuola e delle attività extra-scolastiche. I dati rivelano che nel tempo non solo non sono migliorati, ma anzi sono peggiorati i problemi di conciliazione tra famiglia e lavoro: le risposte di luglio – nella seconda fase dove i genitori potevano “contare” su bonus babysitter, centri estivi e congedi parentali - e quelle di dicembre, quando le scuole erano già state almeno in parte riaperte, rivelano un peggioramento del quadro, che non accenna a migliorare. Infine, il terzo dato rilevante riguarda il benessere. In un quadro di fatica come quello appena descritto il benessere risulta compromesso, soprattutto per le donne. Le donne  risultano infatti in tutte e tre le rilevazioni maggiormente stressate rispetto agli uomini. Inoltre, il livello di malessere è andato peggiorando nel tempo per le lavoratrici. Se inizialmente le donne avevano reagito meglio alla emergenza sanitaria mostrando livelli maggiori di capacità di gestire positivamente l’evento, a luglio e a dicembre questa spinta positiva sembra spegnersi sotto il peso dei carichi di cura. Le famiglie italiane si sentono stanche, ma anche sole: la grande maggioranza dei genitori con figli minorenni del campione (79,8%) ritiene che il Governo abbia tenuto poco o per nulla in conto le loro esigenze nel prendere decisioni, ad esempio riguardo la chiusura delle scuole e dei servizi dedicati alla prima infanzia. In assenza di un welfare pubblico soddisfacente risultano tanto più importanti le iniziative di welfare aziendale e i lavoratori le cui aziende hanno attivato iniziative di supporto mostrano, in base alla ricerca del Centro di Ateneo di Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica, livelli più elevati di performance e soddisfazione lavorativa, identificazione con l’azienda e minori livelli di stress.   [1] Ricerca del Centro di Ateneo di Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano