Anche le definizioni contano, nella nuova gerarchia del mercato del lavoro. E quella che in futuro useremo per descrivere il welfare aziendale - uno degli ambiti destinati a incidere di più nel cosiddetto “Next Normal” - ha tutta l’aria di contare molto. Anzi, moltissimo. Non c’è dubbio stia contando già adesso, che questa nuova normalità la stiamo scrivendo. Ma ci sono buone probabilità che lo faccia perfino di più nei prossimi cinque anni, quando le fondamenta della trasformazione culturale in atto saranno ormai definitivamente posate. Difficile dire chi ne beneficerà di più, da questo cambio di paradigma. Se le organizzazioni, o le persone che ne fanno parte. Certo i primi ad esserne soddisfatti saranno proprio i lavoratori, che inizieranno a vedere infine pienamente riconosciuta anche nel contesto professionale tutta la complessità della propria dimensione di individui. Un’identità fatta di bisogni in costante mutamento, risultato di caratteristiche e necessità individuali ed esclusive. Ma è chiaro che farà bene anche alle aziende, che proprio sulla strada verso una nuova definizione di welfare hanno già trovato un primo importante insegnamento in ottica di attraction e retention. Perché è proprio sulla differenza tra ciò che ancora ci lega all’attuale visione del welfare aziendale e la definizione con cui in futuro penseremo al rapporto tra le persone e il proprio lavoro che è possibile misurare l’ampiezza (e la flessibilità) dei confini previsti dal nuovo patto azienda-collaboratori introdotto con la quarta rivoluzione industriale.

Da welfare a wellbeing: oltre la visione segmentata del benessere

La convinzione diffusa è che si debba superare la visione segmentata e parziale del concetto di benessere in azienda - una visione che ancora oggi accomuna molte divisioni HR - per iniziare invece a ragionare sul welfare aziendale con un approccio strategicamente integrato e coerente con le scelte prese all’interno delle organizzazioni. In altre parole, significa alzare lo sguardo e pensare ai collaboratori nella loro complessità di individui; prendersi cura dell’intera loro sfera di bisogni e interessi e non più soltanto di quella porzione ridotta relativa al lavoro. Una visione organica del corporate wellbeing che segue la via tracciata da Jointly con le cinque dimensioni del benessere della persona.

Cinque dimensioni per una nuova definizione di welfare

Per entrare dalla porta principale nella quarta rivoluzione industriale, quindi, alle imprese non resta altra possibilità che superare l’idea di welfare come “soluzione tampone” e approcciare al tema in maniera olistica. Tradotto: riuscire a non farsi distrarre dai bisogni particolari, ma trattarli come aspetti importanti, inseriti in una visione d’insieme da affrontare in maniera organica e strutturata. Il modo migliore per riuscire in questa impresa è smettere di considerare il corporate wellbeing come un nice-to-have, per farne, invece, una colonna portante della propria Employee Value Proposition. In quest’ottica, la sfida per le divisioni HR prevede l’attivazione di piani di wellbeing che coprano e soddisfino ogni area del benessere individuale dei collaboratori. Perché è evidente che non può esserci soddisfazione per una riuscita stabilità economica senza una piena e appagante conciliazione tra lavoro e vita privata. Così come sarà del tutto inutile, per le organizzazioni, investire nella formazione di nuove competenze interne, se prima non ci si assicura che queste poggeranno su un piano psicofisico di assoluta stabilità. E che non ha troppo senso insistere sull’opportunità dei flexible benefit con i caregiver della “generazione sandwich”, per i quali il supporto alle cure familiari resta l’unica funzione possibile del corporate wellbeing. Ma allora di cosa parliamo, quando parliamo delle cinque dimensioni del benessere per Jointly? In breve, ci riferiamo a queste:
  • Dimensione psicofisica
  • Dimensione relazionale
  • Dimensione economica
  • Dimensione conciliativa
  • Dimensione cognitiva
  Osservando la crescente sensibilità delle imprese sul tema, l’impressione è che si stia andando nella direzione corretta. A questo punto la speranza è che lo si stia facendo alla velocità necessaria. D’altronde, questa nuova definizione di welfare è ancora in fase di sperimentazione: come per tutti i cambiamenti profondi, l’esito di questo processo dipenderà anche dalla capacità che avremo di correggere eventuali imprecisioni nella rotta. *** Valerio Sordilli - giornalista e contributor Jointly