Il rischio è l'incoerenza tra la funzione sociale del welfare (comma 2 dell'art. 51 del Tuir) e i benefit discrezionali (comma 3)

Il Decreto Aiuti Quater (decreto-legge n.176 del 18 novembre 2022) in materia di welfare ha innalzato la soglia dell’imponibilità contributiva e fiscale per i fringe benefit - solo per il 2022 – a 3000 euro. È solo l’ultimo di una serie di progressivi ritocchi: la soglia è passata da 258,23 euro a 516,46 euro nel 2020 fino ad un valore di 600 prima e 3000 euro dopo per il 2022, con la finalità puramente economica e redistributiva di sostenere le spese dei propri collaboratori (utenze domestiche, energia elettrica e gas per esempio). 

“Il welfare aziendale però è un’altra cosa – come spiega la Presidente e Co-fouder di Jointly Anna Zattoni - "Un impegno di lungo termine condiviso tra datore di lavoro e collaboratori per metterli nelle condizioni di stare meglio, di supportare il loro wellbeing, e anche di lavorare meglio”.

Per approfondire il tema abbiamo intervistato Chiara Altilio, Adapt Junior Fellow Scuola di dottorato in Apprendimento e Innovazione nei contesti sociali e di lavoro dell'Università degli Studi di Siena.

***

Dal vostro osservatorio, anche se di corto periodo (solo 2022) l’aumento dei fringe benefit sarà utilizzato dalle imprese?

Sono sempre più le imprese che hanno saputo cogliere queste nuove opportunità, come abbiamo anche rilevato già nel Quarto Rapporto sul welfare aziendale e occupazionale in Italia. Già nei mesi più difficili della pandemia la possibilità di utilizzare queste forme di “welfare fiscale” è stata utilizzata per soddisfare esigenze di natura sociale e non solo consumistica, come i buoni spesa o per l’acquisto di mascherine o pc.  Nell’ultimo periodo si è ulteriormente diffusa a causa della crisi economica e per sostenere il reddito dei lavoratori, sia sotto forma di decisioni unilaterali dell’imprenditore che di accordi collettivi. Ma dopo la decisione di quintuplicare questa soglia, siamo sicuri che si possa ancora parlare di questi strumenti per come li abbiamo conosciuti fino ad oggi oppure cambia radicalmente la loro natura?

È stato detto che l'aumento dei fringe benefits rischia di "cannibalizzare" il welfare aziendale: in che senso? 

L’impressione è che, come sottolineato da molti addetti ai lavori nel settore, un allargamento così forte della quota esente da imposizione fiscale di cui all’ art. 51, co.3 TUIR rischia di “cannibalizzare” il welfare aziendale poiché pone l’accento sulla dimensione economico-fiscale, tralasciando completamente la funzione sociale espressa dall’art. 51, co.2 TUIR dove si stabilisce che alcuni beni e servizi riconosciuti nell’ambito del rapporto di lavoro non costituiscono base imponibile alla luce della loro finalità sociale: misure per la famiglia, a sostegno del tempo libero, sport, mobilità, assistenza sanitaria integrativa e previdenza complementare e molto altro.

C'è il rischio di una idiosincrasia tra questa "funzione sociale" del welfare e i benefit monetari una tantum? 

Il punto è: data l’inesistenza di una definizione normativa del welfare aziendale, quest’ultimo rappresenta nei fatti quell’insieme di misure che determinano una deroga al c.d. principio di onnicomprensività del reddito da lavoro ex art. 51 TUIR.

Il rischio che oggi si paventa è che, a fronte di questa libertà di scelta del paniere di beni e servizi lasciato dal legislatore e dell’estrema competizione nel mercato dei provider di welfare aziendale, si manifesti una “deriva consumistica” del welfare aziendale. In questo senso, dunque, potrebbero perdere di importanza quelle prestazioni maggiormente capaci di rispondere ai bisogni di natura sociale dei lavoratori attraverso l’adozione di piani aziendali ad hoc, lasciando spazio quasi esclusivamente all’erogazione di somme aggiuntive (esentasse) per buoni carburante e voucher per il pagamento delle bollette, ad esempio.

Quale potrebbe essere la soluzione? Slegare le legittime misure di sostegno al reddito dai fringe benefit? 

Secondo la prospettiva adottata dal nostro Osservatorio, una soluzione potrebbe esser quella di scindere legislativamente la possibilità di ricevere in busta paga il rimborso delle utenze domestiche dai tradizionali fringe benefit, da strutturare definitivamente sulla nuova soglia di 600 euro (emendando il testo originario del TUIR che parla dell’equivalente di 258,23 euro), preservandone l’importo moderato e i meccanismi di funzionamento, dato che i fringe benefit rappresentano, ad oggi, un semplice canale di ingresso al welfare aziendale - soprattutto per le piccole e medie imprese - e non invece il contenuto principale dei piani di welfare, i quali devono essere declinati per soddisfare i bisogni sociali dei lavoratori.

***

Anna Zavaritt – giornalista e contributor Jointly