La ricerca JLL presentata a Davos rivela che la metà dei collaboratori si sente a rischio di burnout. Ed è per questo che le priorità della forza lavoro sono cambiate in modo significativo, classificando salute e benessere (60%) al di sopra dello stipendio (50%)


Più della metà dei collaboratori (60%) chiede ad un’azienda di essere attenta al proprio benessere psico-fisico, e la principale aspettativa nell’accettare un posto di lavoro (70%) è che questo promuova attivamente uno stile di vita sano e attento alle persone. Il wellbeing è stato uno dei temi affrontati durante l’ultimo incontro a Davos del World Economic Forum. Nonostante quest’anno siano stati la guerra e gli stravolgimenti geo-politici al centro del dibattito, si sono anche approfondite le conseguenze del “great reset” e dei cambiamenti epocali che la pandemia ha portato con sé.

Una delle ricerche presentate per stimolare il dibattito aveva proprio come titolo “Ripristinare il benessere dei dipendenti per il nuovo mondo del lavoro”. Perché se la crisi pandemica ha messo a dura prova il sistema produttivo, ha anche dimostrato l’importanza vitale del capitale umano e quanto sia cruciale avere collaboratori motivati e felici.


La ricerca di JLL – condotta a marzo 2022 con un campione di più di 4mila persone in 12 Paesi – rivela che la metà (49%) dei collaboratori si sente ancora sopraffatto da un enorme sovraccarico mentale e in molti (46%) si sentono isolato dai colleghi e il 49% crede di essere a rischio di burnout a causa del carico mentale professionale o personale.

Ed è per questo che le priorità della forza lavoro sono cambiate in modo significativo, classificando salute e benessere (60%) al di sopra dello stipendio (50%).

La salute fisica, mentale e sociale è diventata quindi una priorità anche per le organizzazioni perché il benessere e la resilienza delle persone “hanno consentito alle aziende – si legge nella ricerca – di far fronte ai molti, ripetuti e spesso imprevedibili cambiamenti ai quali questi ultimi due anni il business si è dovuto adattare”.

Le nuove modalità di lavoro ibride che si stanno delineando nel post pandemia necessitano di un nuovo approccio al lavoro, che faccia tesoro di quanto appreso durante l’emergenza, per fra fronte a tre grandi sfide:

  1. il passaggio da un mondo incentrato sul “posto di lavoro” a uno incentrato sulla persona, sulle capacità e i bisogni in un determinato momento
  2. il passaggio da un ambiente di lavoro statico ad uno dinamico, dove i collaboratori possano modulare i propri livelli di concentrazione e ingaggio a seconda del lavoro da fare
  3. il passaggio dalla gestione del tempo alla gestione dell’energia, se è vero che il lavoro ibrido non è mai costante e lineare

Dalla ricerca emerge che le aziende non sono ancora capaci di affrontare queste sfide: un collaboratore su tre non ha accesso a spazi per la propria salute e benessere in ufficio, o in convenzione, e la stragrande maggioranza (75%) ha difficoltà nel trovare il tempo o l’energia per incorporare abitudini sane nella propria routine lavorativa.

I bisogni e le aspettative delle persone rispetto al mondo del lavoro sono cambiati – il 70% cerca aziende attente al benessere e alla salute – e le aziende devono adeguarsi velocemente, anche per saper arginare il fenomeno delle grandi dimissioni. Strutturare un dialogo continuo con i collaboratori per capirne le esigenze e coglierne gli spunti e le proposte, ma anche preparare i propri manager ad una nuova cultura del lavoro ibrido e immaginare spazi e tempi del lavoro che abbiano al centro il benessere psico-fisico – che porta con sé resilienza e produttività – sono quindi i prossimi passi che le organizzazioni dovranno affrontare per competere sul mercato e aggiudicarsi i migliori talenti.

E i datori di lavoro in questo – è stato condiviso a Davos – hanno una nuova responsabilità nel supportare attivamente le esigenze di salute e benessere delle proprie persone.

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Anna Zavaritt – giornalista e contributor Jointly