Le imprese necessitano di nuove figure da dedicare alla definizione dei piani di corporate wellbeing. Nuovi ruoli con nuovi compiti e nuovi job title.

Hanno ragione gli analisti di McKinsey quando spiegano che, al posto di job title fumosi e per lo più incomprensibili, le aziende avrebbero invece bisogno di adottare modelli organizzativi e culture aziendali coerenti con la cosiddetta new way of working. Ciò non toglie, però, che la rapidità con cui modelli e cultura del lavoro sono cambiati legittimi ampiamente una riflessione sulla nuova natura di molte funzioni aziendali. E quindi, anche sul loro naming.

Se così su due piedi non dovesse venirvi in mente nulla è perché, probabilmente, state guardando alla vita in azienda da una prospettiva errata. Provate infatti a partire dalla funzione aziendale, anziché dal singolo professionista, e sarà più facile capire in che modo job title diversi da quelli a cui siamo abituati possono davvero aiutare a definire meglio il perimetro entro cui si esercita una certa professione. Saranno più evidenti anche le competenze e le sensibilità che servono al ruolo. Più chiari gli strumenti e le professionalità di cui avvalersi. E più scontati forse anche gli obiettivi e le aspettative che ci si attende vengano soddisfatte.

Ridisegnare il welfare aziendale: ma chi può farlo?

In questo senso, l’esempio forse più evidente è quello del welfare aziendale. Da quando le imprese hanno iniziato a riconoscere una nuova centralità alle proprie persone, il tema legato al loro benessere - dentro e fuori l’orario di lavoro - ha acquisito un’importanza raramente sperimentata prima. 

Il risultato di questo processo è stato che le organizzazioni hanno iniziato ad avvertire l’esigenza di ridisegnare il welfare aziendale per adattarlo alle nuove necessità delle persone. 

Per molte si è trattato di ripartire dalle fondamenta della propria cultura di people caring. La definizione stessa di welfare aziendale ci è sembrata all’improvviso incapace di riassumere tutte le dimensioni di quel benessere. E per dare a quella definizione un respiro più ampio, per renderla più coerente, la prima cosa che abbiamo fatto è stata correggerla in Corporate wellbeing. Oggi sappiamo che il Corporate Wellbeing è diventato per le aziende una leva strategica, funzionale agli obiettivi di business. Per di più in grado di apportare benefici indiretti anche in termini di attraction e retention dei talenti.

Il principio, a questo punto, dovrebbe essere evidente: cambiano i bisogni di aziende e collaboratori; cambiano i modelli pensati per rispondere a quei bisogni; cambia l’approccio delle organizzazioni; cambiano i gesti e cambia anche il modo in cui li definiamo, quei gesti.

Le uniche domande ancora inevase sono quelle che riguardano il chi e il come.

In pratica: a chi spetta il compito di ripensare il welfare aziendale? E in che modo?

 

Una nuova architettura per il benessere in azienda

Data l’importanza che oggi riveste il tema della soddisfazione delle persone, e considerata la mole di bisogni emersi con i nuovi modelli di lavoro, per le divisioni HR è sempre più complesso far quadrare la gestione di queste nuove esigenze con l’ordinaria amministrazione.

Senza contare che, insieme alle regole del “gioco”, nel frattempo sono cambiate anche le dimensioni del terreno. Procedere come si è sempre proceduto, ovvero considerando la popolazione aziendale come un ecosistema uniforme, monolitico, e portatore di un’unica idea di benessere, è una soluzione non più ipotizzabile. Perfino dannosa, sotto diversi aspetti.

Le imprese necessitano di nuove figure da dedicare alla definizione dei piani di corporate wellbeing. Nuovi ruoli con nuovi compiti e nuovi job title. Oggi chi progetta il welfare deve avere competenze ibride: tecniche e umanistiche allo stesso tempo. Design ed empatia, dati e sensibilità: sono queste le basi per l’architettura del benessere di domani.

Per facilitare il lavoro di questi wellbeing designer, abbiamo riformulato la nostra offerta, adattandola ai bisogni e alle caratteristiche introdotte dai nuovi modelli organizzativi.

 

Da welfare provider a facilitatori del benessere organizzativo

Al centro c’è una piattaforma modulare, JOY, che opera da abilitatore e da perno attorno al quale ruota l’intera nostra offerta. Tutto intorno, invece, si sviluppa una galassia di soluzioni, strumenti e servizi pensati per progettare in maniera integrata le iniziative di corporate wellbeing. Il perimetro d’azione, come dicevamo, è molto più esteso. E copre un arco di bisogni che comprende:

  • Flexible benefits
  • Work-life balance (per genitori e caregiver)
  • Healt & Wellness
  • Mental health
  • Life-work skills

Tante soluzioni in un’unica piattaforma che sfrutta la tecnologia Smart-Human per offrire più semplicità e più valore alle imprese. Come? Attraverso un approccio:

  • Integrato
  • Innovativo
  • Personalizzato
  • Condiviso

È il welfare aziendale che cambia. E noi con lui: da welfare provider a facilitatori del benessere organizzativo.

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Valerio Sordilli - giornalista e contributor Jointly