Negli ultimi anni, anche in risposta alla pandemia e alla crisi economica, la maggioranza delle grandi aziende - ma anche la metà delle PMI (57%)[1] - hanno adottato misure di welfare e wellbeing a favore dei propri collaboratori. Poche però le iniziative organiche di supporto ai genitori che lavorano: in base alle più recenti ricerche, meno di un’azienda su tre le ha adottate[2], mentre la maggior parte delle imprese si limita a a valorizzare quanto già previsto per legge, dal congedo di maternità e paternità (67%) alla flessibilità oraria (60%), dal supporto per asilo nido o assistenza all’infanzia (28%) ai bonus extra o una tantum (25%).

Eppure - dati alla mano[3] - la grande maggioranza dei genitori (80%) chiede all’azienda dove lavora un aiuto concreto per affrontare al meglio i problemi di conciliazione. E quando le imprese rispondono con misure di benessere organizzativo adeguate, l’engagement può aumentare anche del 30%. Da dove nasce, quindi, questo mismatch tra domanda e offerta di servizi per mamme e papà? Come mai le aziende faticano ad intercettare correttamente i loro bisogni in ufficio e a casa, anche se questo rappresenterebbe un evidente beneficio sia per le persone che per l’organizzazione? Per provare a rispondere ripartiamo dai dati: oggi un’azienda su due (56%) definisce l’offerta di welfare e wellbeing in modalità top-down, senza un confronto con i diretti interessati[4]. E anche quando si attivano canali di dialogo e confronto, questi spesso risultano piuttosto semplici e scostanti: per esempio il 76% delle aziende utilizza survey annuali, ma solo una su tre (il 35%) ha attivato presidi di ascolto continuativo.

Iniziative top down, quindi, che rischiano di essere poco efficaci anche per altri due motivi principali. Da un lato, infatti, il 40% delle aziende non rileva l’impatto delle iniziative sul benessere dei dipendenti o non dispone di parametri per valutarne non solo il tasso di utilizzo e gradimento, ma anche il valore percepito. E dall’altro, la comunicazione delle iniziative di benessere verso i dipendenti passa ancora da canali tradizionali come la mail (63%) o la intranet (49%), ormai appesantiti da un eccessivo utilizzo.

Da dove partire, quindi, se un’azienda vuole supportare in modo efficace e continuativo i propri collaboratori che sono anche genitori? Consapevoli che la “ricetta ideale” non esiste, attraverso i dati raccolti da JOINTLY - grazie a un’analisi delle ricerche in piattaforma, delle richieste al Family Manager e dei dati raccolti con JOINTLY VOICE - possiamo evidenziare alcune direttrici per rispondere in modo efficace alle principali necessità dei genitori lavoratori, che riguardano tre ambiti principali:

  • l’organizzazione del TEMPO: specialmente durante i periodi di chiusura scolastica è fondamentale per i genitori che lavorano e che non possono contare sulla rete familiare (i nonni, sempre più spesso ancora professionalmente in attività o al contrario troppo anziani) poter accedere a servizi e iniziative che favoriscano maggiore flessibilità

  • SERVIZI EDUCATIVI in base all’età: nell’età prescolare avere un supporto economico e/o logistico per iscrivere un figlio all’asilo o affidarlo con tranquillità ad una baby-sitter selezionata può fare la differenza tra avere un collaboratore ingaggiato e perderlo; così come offrire servizi di sostegno allo studio (ripetizioni, corsi di lingua, DSA/BES) nell’età scolare può rendere un genitore più sereno e concentrato

  • SUPPORTO GENITORIALE: mettere a disposizione dei genitori momenti di ascolto, confronto e sostenerli nell’affrontare il compito educativo prima e ad essere “alleati” utili per i propri figli nelle scelte dopo la scuola può ridurre ansia e stress e contribuire ad un miglior benessere personale ed organizzativo.

Peraltro, i dati raccolti attraverso la survey e i focus group di JOINTLY VOICE mostrano che la flessibilità e la gestione del tempo, il supporto nella crescita e nella costruzione delle competenze e del ruolo genitoriale sono bisogni trasversali a tutte le fasce d’età, ma variano nel tempo ed hanno caratteristiche specifiche in base all’età di genitori e figli. Anche qui, quindi, un’attenta analisi del contesto sociale, un confronto con i propri collaboratori e una segmentazione delle risposte per età dei figli è fondamentale per definire insieme le misure più utili nonché per aggiornarle nel tempo. Se per esempio fino agli otto anni sono flessibilità e permessi, insieme a strutture educative di supporto, ad essere cruciali, dopo i dieci anni d’età dei figli sono più apprezzate le misure per gestire i periodi di chiusura scolastica e quelle di supporto nell’indirizzo e nelle scelte di studio.

Ascoltare i bisogni dei genitori che lavorano in maniera interattiva e continuativa significa, quindi, avere collaboratori più ingaggiati e che hanno una maggior fiducia nella propria azienda, come è successo al 75% dei genitori del modulo di Professione Genitori "Push to Open Diplomandi", ma anche mamme e papà con maggiori competenze per gestire gli impegni familiari e lavorativi, come è successo all’88% dei genitori che hanno partecipato al modulo Professione Genitori "SOS Genitori".

In conclusione, le difficoltà legate ai genitori che lavorano si possono affrontare con il contributo attivo di tutti. Possiamo farci ispirare da Paesi che hanno compreso da tempo il valore dell’equilibrio e delle competenze che si sviluppano anche in luoghi informali o da aziende che da tempo si interrogano su come operare un cambiamento tangibile all’interno dell’organizzazione; necessariamente dobbiamo informarci sui nuovi trend e sullo stato delle cose perché gli interventi siano all’interno di un disegno coerente; possiamo farci guidare dal fatto che quello che oggi rappresenta una sfida, l’essere genitori, è in realtà un’opportunità per tutti: di crescita personale e professionale, di ascolto a supporto di innovazione e cambiamento, di continuità, valorizzazione e appartenenza. Possiamo, insieme, innescare un circolo virtuoso e favorire risposte innovative a diversi e nuovi bisogni, che massimizzi l’efficacia nella distribuzione delle risorse e ne attivi di nuove, che dia ossigeno al welfare pubblico secondo una logica sussidiaria, che generi una ricaduta positiva sul territorio e in primis su coloro, i genitori, che in azienda possono rappresentare anche un agente positivo di cambiamento con la concretezza che ne contraddistingue il quotidiano.

***

A cura di Silvia Torselli - Head of Wellbeing Solutions, Innovation and Advisory Jointly

***

[1] Rapporto Inapp “Lavoro, formazione, welfare. Un percorso di crescita accidentato”, 2023.

[2] Capterra, "Sondaggio donne sul posto di lavoro”, 2023.

[3] JOINTLY VOICE, Ricerca condotta in collaborazione con il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano, che ha analizzato nel tempo un campione rappresentativo di oltre 30 mila lavoratori.

[4] JOINTLY, Indagine su oltre 200 aziende italiane.