Distratti dalla visione d’insieme, abbiamo finito per perdere di vista i particolari. E questo nonostante i particolari, stavolta, rappresentino forse l’aspetto più interessante e utile dell’intera faccenda.

Eppure è esattamente quello che è successo – anzi, che sta succedendo – con la “Great Resignation”. Rapiti da numeri che ne fanno un caso senza precedenti, e dalla rapidità con cui dagli Stati Uniti il fenomeno ha raggiunto i mercati europei, alla fine ci si è molto soffermati sulle cause e molto poco sui loro possibili rimedi.

Intervenire sul benessere personalizzandolo

A ristabilire un po’ le giuste proporzioni ci ha pensato Mariano Corso. Intervenendo in un convegno sul tema delle Grandi Dimissioni, il responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano ha spiegato che le ragioni alla base del fenomeno sono sostanzialmente due: la volontà dei dipendenti “di dare un nuovo significato al lavoro” e “il crescente malessere dei lavoratori, spesso non adeguatamente identificato dalle organizzazioni”.

Fermiamoci un istante: l’avete colta anche voi la sfumatura? In pratica, Corso mette in correlazione questi due fattori come inneschi della Great Resignation. E fa bene. Ma mentre ci spiega cos’è che la provoca, implicitamente ci suggerisce anche cosa la ridurrebbe. Ovvero serie politiche di People Caring mirate a contrastare quel “malessere crescente” manifestato dai lavoratori. Malessere sulle cui cause, perciò, bisognerà prima indagare e solo poi individuare una risposta adeguata. Che non potrà essere standardizzata, ma adattata ai bisogni della comunità a cui ci si rivolge.

Quattro sfide per il benessere organizzativo del futuro

Non solo. Richiamando le organizzazioni alle loro responsabilità, Corso ci obbliga a concentrarci sul vero nervo scoperto di tutta questa storia: vale a dire l’inadeguatezza di molte divisioni HR a identificare correttamente il malessere delle proprie persone.

Come riuscirci? Semplice: iniziando ad ascoltarle; poi componendo un’offerta calibrata sulle cinque dimensioni del loro benessere; successivamente impostando una strategia di comunicazione tarata sull’offerta; infine misurando l’impatto degli strumenti e dei servizi che la compongono. In altre parole: affrontando, una dopo l’altra, le sfide per il benessere organizzativo del futuro. Nell’ordine:

  • Ascolto
  • Offerta
  • Comunicazione
  • Impatto

One size doesn’t fit all: il Corporate Wellbeing rifiuta gli standard

Per poter garantire un benessere diffuso, durevole e in linea con gli standard organizzativi futuri, le imprese sono quindi tenute a implementare programmi strutturati. Un percorso che impone la comprensione dei bisogni (molteplici e mutevoli) delle proprie persone e la capacità di rispondervi in maniera corale e ben comunicata. Andando con ordine:

Ascolto

È la prima fase della strategia e risponde alla domanda: “Come è costruita, monitorata e valutata l’offerta di welfare aziendale?”. Il punto di partenza è infatti sempre l’analisi dei bisogni globali e specifici della popolazione aziendale. La fase di ascolto non può prescindere dal contributo dei collaboratori, che potrà essere incoraggiato attraverso comunicazioni interne e relativi feedback. Testimonianze raccolte allo scopo di permettere all’azienda di determinare le esigenze dell’intera forza lavoro. Sul tema dell’ascolto, alcuni dati del benchmarck Jointly, frutto della collaborazione scientifica con il Centro di ateneo studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica di Milano, ci dicono ad esempio che:

  • il 62% delle imprese realizza la propria strategia di welfare in modalità Top-Down
  • chi sceglie la modalità Bottom-Up lo fa attraverso survey/pulse survey/colloqui capo-collaboratori

Offerta

La seconda fase risponde alla domanda: “Qual è l’offerta di welfare e quanto l’investimento destinato ad attuarla?”. In questo caso, quindi, l’interrogativo parte proprio dagli esiti del punto precedente. Ovvero dalle aree del benessere maggiormente sollecitate dalle risposte dei collaboratori. E anche in questo caso i dati del benchmark Jointly possono fornire un supporto utile alle divisioni HR. Nella maggioranza dei casi, infatti, i bisogni si concentrano soprattutto su:

  • Benessere relazionale
  • Salute fisica
  • Work-life integration
  • Life work skills
  • Comunicazione

Terza area, terza domanda: “Come vengono comunicate le iniziative e la strategia di welfare aziendale?”. Perché dopo l’ascolto e l’offerta che ne deriva, la roadmap prevede un nuovo passaggio alla popolazione aziendale, stavolta sottoforma di iniziativa o servizio mirato. Anche in questo caso qualche dato per aiutare a comprendere meglio il contesto:

  • solo il 12% delle aziende ha un “brand” dedicato per promuovere l’offerta di welfare
  • il 38% divide la comunicazione delle iniziative tra diverse funzioni
  • il 60% usa canali tradizionali (mail/intranet) per comunicare il benessere
  • il 22% dice di avere un piano di employee advocacy
  • il 12% usa i social come canale di comunicazione per il welfare aziendale

Impatto

“Come viene monitorata l’efficacia e l’impatto sugli stakeoholder delle iniziative di welfare aziendale?” è invece la quarta e ultima domanda che sottende alla quarta “sfida” del benessere organizzativo del futuro. E la fase che permette di misurare l’efficacia delle soluzioni, e di stabilire se i bisogni determinati nella fase di ascolto siano – o meno – effettivamente corrisposti. Per questo è forse la più delicata e allo stesso tempo sottovalutata dell’intero ciclo. I dati del benchmark Jointly, relativamente alla quarta fase, ci mostrano infatti che:

  • il 46% non ha strumenti di monitoraggio dell’efficacia delle iniziative offerte
  • appena il 34% effettua una rilevazione tramite survey

Numeri che dimostrano quanto in effetti la strada da percorre sia effettivamente ancora lunga. Ma anche che il margine a disposizione delle aziende per avvicinarsi ai modelli della New way of working – e rendere fenomeni come la Great Resignation fattori poco più che trascurabili – sia davvero molto, molto ampio.

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Valerio Sordilli – giornalista e contributor Jointly