Proprio settimana scorsa il Parlamento Europeo ha espresso il via libera alla Due Diligence Directive, che introduce l’obbligo per le imprese di controllare la sostenibilità di tutta la propria catena del valore, compresa la dimensione sociale.

Un’altra direttiva – la Corporate Sutainability Reporting Directive (CSRD) – nel frattempo sta già portando un cambiamento radicale nel modo in cui le aziende rendicontano la parte non strettamente finanziaria delle proprie attività in bilancio.

 

L’UE introduce obblighi specifici per le imprese

Sono 12 i nuovi standard - gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS) – che le imprese dovranno utilizzare e tra questi quattro sono di tipo “sociale”: informazioni puntuali non solo rispetto al proprio capitale umano, ma anche ai lavoratori di tutta la supply chain aziendale, ai consumatori ed utilizzatori finali e alle comunità interessate.

Progettati per garantire uniformità e chiarezza nel reporting ESG, gli ESRS consentiranno di misurare l’impegno dell’azienda per la sostenibilità, superando la misurazioni in soli termini di “input” e “output”  ma considerando anche gli “outcomes” diretti e indiretti. Ovvero l'effetto finale che quel prodotto o quel servizio generano nel medio e lungo termine per tutti gli stakeholders coinvolti. Un vero cambio di passo per le aziende, che non sempre però sono pronte.

 

Ma poche imprese utilizzano metriche adeguate 

Se è vero infatti che negli ultimi anni, anche a seguito della pandemia, la gran parte delle aziende (56%) ha introdotto iniziative per migliorare il benessere dei propri collaboratori – in base allo studio realizzato da JOINTLY con The European House Ambrosetti – è anche vero che solo un’impresa su tre (34%) dispone di dati sufficienti a misurarne l’efficacia.

E in assenza di attività di monitoraggio e ridefinizione nel tempo, queste iniziative rischiano quindi di perdere di valore: solo il 20% dei collaboratori ne è soddisfatto e riconosce l’impatto sul proprio benessere personale e relazionale in ufficio.

 

Da dove partire? L'esempio di JOINTLY Professione Genitori 

JOINTLY ogni anno realizza con la supervisione tecnico-scientifica di BDO Advisory Services un report di impatto sul  programma Professione Genitori, proprio per monitorarne utilizzo ed efficacia. Il programma – che in 7 anni ha coinvolto oltre 40mila tra genitori e figli - è composto da quattro diversi moduli, che accompagnano i genitori dalle prime sfide legate alla genitorialità (SOS Genitori) e all’educazione digitale dei figli (Genitori Digitali), fino alla scelta del percorso scolastico dopo le medie  (Push to Open Junior) o dopo il diploma (Push to Open Diplomandi).

Dall’analisi emerge che per più di due terzi dei genitori i diversi programmi hanno aumentato l’engagement ed in particolare la probabilità di parlare bene della propria azienda (85% SOS Genitori, 88% Genitori digitali e 84% PTO Junior) e la fiducia nell’organizzazione (75% PTO Diplomandi).

 

Benessere, Engagement e produttività

Grazie alla possibilità di usufruire di un supporto specifico, più di sette lavoratori su dieci tra quanti sono anche genitori hanno inoltre ridotto ansie e preoccupazioni legate alla crescita dei figli (90% di PTO Junior, 86% PTO Diplomandi), migliorando la propria work-life integration e acquisendo le giuste competenze per gestire al meglio gli impegni familiari e lavorativi (88% SOS Genitori).

Maggior senso di appartenenza e minore stress hanno contribuito quindi ad aumentare la produttività dei genitori al lavoro (75% SOS Genitori), risparmiando fino a cinque giorni lavorativi per la ricerca di informazioni e suggerimenti (PTO Diplomandi).

 

Lo SROI

Per Professione Genitori, JOINTLY ha adottato la metodologia del calcolo del Social Return on Investment (SROI), che permette di individuare, quantificare e monetizzare l’impatto sociale generato dal progetto:

ogni euro investito dalle aziende nel programma ha generato da 1,2 a 1,7 euro di impatto sociale su stakeholders e territorio.  

In particolare, il modulo Push to Open Diplomandi ha consentito ai ragazzi coinvolti di acquisire maggiore consapevolezza del contesto lavorativo e delle opportunità che offre il mondo del lavoro oggi (l’88%), aumentando il senso di fiducia nel futuro (il 78%).

E questo risultato ha un impatto sociale rilevante in Italia, dove il tasso di abbandono scolastico è tra i più alti d’ Europa e un ragazzo su cinque – tra nei giovani fra i 15 e i 29 anni - non studia né lavora, contro una media UE di 11,7%.

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A cura di Anna Zavaritt - giornalista e contributor JOINTLY