Venerdì 17 marzo è stata la Giornata Mondiale del Sonno. Da liceali avremmo probabilmente detto ”Evvvai si sta a casa a ronfare!”. E infatti è quello che mio figlio fresco diciottenne ha appunto commentato a questa notizia (perché anche ai rovazziani piace poltrire). Tutti gli altri (me compresa) avranno alzato gli occhi al cielo, o mentalmente al cuscino, pensando che “Si, sarebbe stupendo ma c’è quella riunione importante sul budget…” o “Ma dai, quel cliente viene apposta dall’altra parte del mondo per firmarci il contratto…”. Dunque, rien a faire! Peccato però, perché insieme all’esercizio fisico ed ad una dieta bilanciata, il sonno è il terzo pilastro della nostra Salute. Numerosi studi internazionali affermano che dormire male o non abbastanza impatta negativamente sulle nostre funzioni cognitive, sul nostro stato d’animo, sui tempi di reazione, sulla capacità di apprendimento e di memorizzazione. L’altra faccia della medaglia: chi dorme bene appare agli altri più sveglio, più giovane e più attraente (che dopo i 40 anni non è cosa da poco…). L’estetica ci fa un baffo? Ok! Gli studi del dottor Vincenzo Tullo, specialista neurologo di Humanitas trovano un nesso fra un sonno patologico e la riduzione delle performance scolastiche e professionali. Comincia ad interessarci? Sempre in questi giorni Thrive Global ha approfondito il tema dello stress da lavoro e della sindrome da burn out definedole “epidemie globali” perché, se finora erano appannaggio di alcune professioni come quella medica, ora invadono tutti i campi lavorativi. Il Wall Street Journal puntualizza che i lavoratori che si sentono sopraffatti per un considerevole periodo di tempo dal lavoro, diventano apatici e assenti. I leader di progetto diventano taciturni in riunione, i top performer arrivano tardi, escono prima e fanno fatica ad alzarsi dal letto al mattino. Nel nostro piccolo, grazie ad una ricerca dell’ Università la Sapienza di Roma sappiamo che l’82% dei bancari toscani sono “in ansia”. Da che parte cominciare? Uno studio del Medicine Sleep Center della University of Washington sostiene che la durata e la qualità del sonno sono dovuti ad una questione genetica in un intorno del 31-55%: il resto è dovuto ai comportamenti ed allo stile di vita. E a proposito di stile di vita, stare sempre “connessi”, guardando le email a tutte le ore e portandosi appresso il lavoro sempre ed ovunque (che non è lo  smartworking, beninteso!) lo capiamo da soli che non fa bene. Ma per chi volesse una riprova può risalire ad una ricerca di Stanford del 2009 sui cosiddetti media multitasker che, in sintesi, diceva che questa iperconnessione aumenta il cortisolo e l’adrenalina interferendo così con la nostra capacità di concentrazione. E dalle mie osservazioni empiriche su molti manager, posso asserire anche sulla capacità di innovazione. Naturalmente la questione è complessa e difficile da risolvere. Io intanto ascolterò i consigli del dottor Tullo per un sonno di qualità:
  1. Cenare né troppo presto né troppo tardi rispetto a quando si va a dormire ( e cenare in modo salutare possibilmente)
  2. Bere l’ultimo caffè della giornata almeno 6 ore prima di coricarsi
  3. Fare sport la sera ma non troppo tardi (occhio all’adrenalina!)
  4. Avere una camera da letto “amica del sonno” (temperatura adeguata, materasso e cuscino confortevoli)
  5. Avere tablet e smartphone con la luce (schermo) spenta almeno 1 ora prima di andare a dormire. In Giappone alle vending machine in metropolitana vendono già i lettini per cellulari …
Barbara Demichelis
Direttore editoriale Jointly Push to Open