Benessere organizzativo: senza modelli pre-definiti né ricette magiche, ripartiamo dall'ascolto delle persone.

Il mondo del lavoro sta cambiando rapidamente: l’azienda ha un ruolo di primo piano nel benessere delle persone al lavoro e ormai i confini tra vita professionale e personale sono sempre più labili. Come gestirli al meglio? 

È giusto e sano che questi confini esistano, e siano ben delimitati per garantire la salute e il benessere delle persone. Allo stesso tempo però tematiche personali e organizzative si intrecciano sul posto di lavoro, che da sempre è stato anche un posto di socialità e reti relazionali. Con la pandemia, l’urgenza – e quindi il focus – è stato principalmente sulla salute delle persone, quella fisica e quella psicologica quando erano forzosamente isolati da tutto.

Ora siamo in un nuovo periodo di transizione nel quale a fianco di nuove modalità di lavoro ibrido si stanno sviluppando anche nuove forme di collaborazione tra colleghi, nuovi stili di leadership con i propri manager.

Ma non ci sono più modelli pre-definiti, quelli precedenti sono saltati e quelli nuovi sono in via di definizione: un grande momento di confusione, se vogliamo, che però può essere molto costrittivo costruttivo. A patto che si sappia accettare l’incertezza, provare a definire una nuova cultura aziendale più “fluida” e soprattutto evitare – sotto pressione – di assumere una modalità reattiva e compulsiva di fronte alle singole emergenze.  

 

Questo cambiamento tu l’hai vissuto in prima persona, con il progetto Jointly Balance…

Si, il progetto è nato nel lontano 2016 e fin dall’inizio aveva l’obiettivo di facilitare il benessere delle persone - nelle loro diverse dimensioni – e di contribuire quindi anche a sviluppare il benessere organizzativo, attingendo a un’importante esperienza maturata insieme a TIM qualche anno prima. D’altronde dai colloqui fatti – con un’analisi aggregata e nel pieno rispetto della privacy – emerge chiaramente che l’aspetto relazionale, soprattutto in ambito lavorativo, sul luogo di lavoro è uno dei temi principali di chi avvia un percorso di counseling.

Per far stare meglio le persone quindi, oltre ad aiutarle a lavorare su di sé, è necessario anche restituire feedback all’azienda e accompagnarla in un percorso di maturazione organizzativa. Maturazione che aiuti anche a mettere a fuoco idee e soluzioni per affrontare le evoluzioni interne e esterne.

Altrimenti queste azioni di supporto psicologico rischiano di restare fine a sé stesse e di essere poco utili ed efficaci. Con la pandemia, mentre le persone erano isolate a casa, i temi strettamente personali hanno avuto – come è normale che sia – il sopravvento, ma ora vediamo un progressivo ritorno a temi più relazionali di tipo organizzativo. 

 

Quindi le aziende che avviano un percorso di counseling e vogliono che sia efficace devono andare oltre il semplice “sportello”, ma mettersi in gioco in prima persona? 

Sì, perché non esiste una “ricetta”, un modello standard e definito su come offrire un percorso di supporto ai propri collaboratori. Esistono invece delle evidenze, tratte dall’esperienza, per affrontarlo al meglio.

Il nostro approccio insieme a JOINTLY è stato proprio questo: alle aziende non abbiamo offerto “pacchetti” preconfezionati e a sé stanti, ma abbiamo proposto un cambio di passo, un progetto di action-research da fare insieme.

Attenzione: con una metodologia che guida il percorso e che ha due elementi fondanti: la qualità dei professionisti e il regolare feedback all’azienda sull’andamento del percorso.

 

Infine, ci sono dei “DO & DOESNT’” che ti senti di condividere con le aziende interessate? 

Se proponessimo dei “TO DO” saremmo in parte in contraddizione con l’idea che non esistano soluzioni pre-confezionate. Però un paio di sollecitazioni senz’altro ci sembra importante condividerle: 

ascoltate con attenzione quello che sentono e pensano i collaboratori perché non solo date loro degli importanti segnali di valorizzazione e coinvolgimento ma anche raccogliete spunti importanti per affrontare un contesto in costante evoluzione e promuovere l’innovazione.

Inoltre, aiutate i capi a diventare leader “umili” in grado di aiutare, ascoltare, promuovere, raccogliere opinioni e sguardi diversi, connettere e far connettere; solo così possono aiutare l’Azienda a migliorare e a dare energia e coinvolgere i collaboratori.

Non sembra essere questo il tempo di condottieri tutti d’un pezzo. Al contrario, eviterei di passare velocemente da modelli e strumenti ad altri diversi, sottoponendo le persone a cambiamenti repentini e adesioni difficili da sostenere se non controproducenti. E se anche ciò viene fatto, motivare, spiegare, magari confrontarsi sul perché se ne abbandona uno e se ne abbraccia un altro, adottando un approccio “disincantato” e sperimentale (orientato a verificare e valutare l’efficacia delle soluzioni). Perché un po’ tutti stanno sperimentando e si stanno sperimentando.

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Intervista a cura di Anna Zavaritt – giornalista e contributor Jointly