I dati della ricerca BCG – Jointly ne delinea le caratteristiche: sono oltre 7 milioni, spesso lasciati soli, e quando chiedono aiuto lo trovano principalmente nelle strutture private.

Tanti e lasciati soli. Si potrebbe riassumere così la situazione dei caregiver in Italia che lo studio “Care 4 caregiver” realizzato congiuntamente da Jointly e Boston Consulting Group - su un campione di 12mila lavoratori dipendenti di aziende in diversi settori – ha indagato nei dettagli.

Oggi in Italia ci sono oltre 7 milioni di caregiver e un dipendente su tre (il 38%) si occupa di un familiare non autosufficiente: un vero e proprio secondo lavoro al quale la grande maggioranza di loro (77%) dedica in media 20 ore settimanali, con ricorrenza spesso quotidiana. Tanto che nel 15% dei casi le persone hanno valutato le dimissioni per far fronte ai carichi di cura. Questo anche perché la cultura azienda è ancora poco attenta e inclusiva verso i caregivers: quasi la metà di loro (38%) non ha condiviso la propria situazione con i colleghi nel timore di compromettere il proprio lavoro, ma anche chi l’ha fatto (23%) si è sentito poco compreso.

 

Un Paese che invecchia, un bisogno che cresce

Ma non è solo l’azienda a lasciarli soli: uno su tre (33%) ricorre a strutture private per ricevere un’adeguata risposta ai bisogni famigliari, mentre unicamente in un caso su quattro (il 25%) riesce ad accede a strutture pubbliche. E sono le cure domiciliari personalizzate il vero tallone d’Achille della sanità pubblica: la metà dei caregiver ricorre a quella privata per trovare colf e badanti (51%) e organizzare fisioterapia a domicilio (40%), ma anche educatori professionali e supporto psicologico. E neanche più l’accesso alle cure ospedaliere è una garanzia del “pubblico”: ormai un caregiver su due (47%) entra come privato.

“Alla luce di quanto previsto non solo dal recente  DdL 506, il cosiddetto “DdL Anziani” – prosegue Francesca Rizzi -  ma anche dal disegno di legge delega per la semplificazione dei procedimenti amministrativi approvato recentemente che prevede semplificazione regolatoria e la riduzione degli oneri amministrativi a carico dei familiari che assistono congiunti con disabilità e anziani non autosufficienti, crediamo fortemente che anche il welfare aziendale possa dare un contributo importante, in termini di soluzioni innovative per facilitare il supporto alla cura e alla conciliazione, al fine di migliorare le condizioni di vita e lavorative dei caregiver familiari”.

 

I costi da affrontare, il carico mentale, la mancanza di tempo

Occuparsi del proprio caro significa anche affrontare dei costi. Dal punto di vista economico, dalla ricerca BCG – Jointly emerge che il 17% dei caregiver spende in media oltre 10.000 euro all’anno per l’attività di assistenza e cura, risorse che, in un caso su due, provengono da fondi personali o familiari. Ma i costi non si limitano a quelli “monetizzabili”: quasi un caregiver su tre (30%) dedica infatti almeno 14 ore alla settimana alla cura, un impegno che per molti risulta “pesante” o “molto pesante”. Le difficoltà maggiormente percepite dai lavoratori caregiver sono soprattutto carico mentale e mancanza di tempo, tanto che il 56% degli intervistati desidererebbe fortemente poter staccare dal lavoro di cura, mentre il 44% sente di aver bisogno di un sostegno psicologico.

 

Le risposte del welfare aziendale

La risposta a questi bisogni deve quindi necessariamente orientarsi verso soluzioni di welfare integrato che siano in grado di alleggerire questo tipo di carichi, offrendo servizi di supporto per i lavoratori caregiver e favorendo una conciliazione che risulti sempre più efficace.

Tra gli esempi di attività e servizi che, secondo le aziende intervistate, andrebbero messi più in evidenza nell’offerta di welfare ci sono, ad esempio, gli sportelli di orientamento sui servizi messi a disposizione anche da parte del settore pubblico e sulle procedure burocratiche da attivare; la segnalazione di strutture specializzate in determinate casistiche di disabilità; lo sviluppo di piattaforme di networking e condivisione di esperienze tra familiari.

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Anna Zavaritt – giornalista e contributor Jointly