Dal rapporto “Solitudine Professionale” di Bip emerge che più di due collaboratori su tre (77%) si sono sentiti soli sul luogo di lavoro, soprattutto nelle prime fasi della propria crescita professionale (39 + 35%). Cosa è venuto meno in ambito organizzativo?

Il benessere delle persone sul lavoro è un tema sempre più rilevante per le organizzazioni che puntano a creare un ambiente di lavoro sano, inclusivo e generativo. Oggi assistiamo invece, come rivela il rapporto, ad un senso di solitudine professionale molto diffuso, dovuto in estrema sintesi alla mancanza di dialogo con gli altri.

La solitudine non deriva infatti dall’essere isolati, dal non avere nessuno intorno, ma dall’incapacità – o dalla percezione di impossibilità - di comunicare e condividere i propri valori e idee, le cose che ci sembrano importanti. E la cultura organizzativa può essere un fattore cruciale per alimentare (o depotenziare) questa solitudine professionale. Quelle individualiste, competitive e focalizzate su alte prestazioni - ma non altrettanto su senso di scopo e bene comune – la alimentano, un clima sociale positivo e il sostegno a relazioni costruttive sul lavoro aumentano il benessere.  

Il “luogo di lavoro” ha sostituito le istituzioni sociali tradizionali, come la chiesa e la comunità e, di conseguenza, le persone stanno diventando più consapevoli della ricerca di appagamento intangibile sul lavoro, come le relazioni interpersonali di buona qualità̀. Il concetto del luogo di lavoro come “comunità in cui vivere esperienze condivise” sta influenzando lo sviluppo del senso di appartenenza e di scopo.

Gli elementi che meglio possono rispondere a questo nuovo bisogno sono per esempio il lavoro ibrido, contratti più flessibili, stili di leadership manageriale più inclusivi, modalità di collaborazione agile. 

 

In una nuova cultura organizzativa più empatica e inclusiva, la separazione tra vita privata e professionale è sempre più labile: come gestire questo delicato rapporto? Vedi dei rischi? 

La maggior parte di noi trascorre una quantità significativa del proprio tempo al lavoro, lavoro che non solo fornisce reddito ma dà anche forma alle nostre giornate, crea connessioni ed opportunità per stare con le persone e spesso ci dà un senso di identità e scopo, o almeno dovrebbe!

Con la pandemia il bisogno di “senso” è divenuto tanto più forte e oggi possiamo parlare di work-life integration come un approccio sinergico tra tutte le aree che fanno parte della vita: lavoro, casa/famiglia, comunità, benessere personale e salute.

Questo approccio però funziona se è condiviso: un'azienda deve davvero cambiare la propria cultura per far sì che la work-life integration funzioni davvero e possa avere un impatto in termini di engagement, turnover, performance, reputation ma anche salute e benessere. 

 

Dalla tua esperienza, quali sono gli strumenti concreti che un’azienda può adottare per realizzare un approccio human capital, che accompagni le persone a “connettere, fare, imparare, nutrire, disseminare” (metodo COFIND)?

Un’organizzazione che vuole davvero essere inclusiva e promuovere il benessere dei propri collaboratori deve impegnarsi contemporaneamente in queste cinque aree del wellbeing: connettere, fare, imparare, nutrire e disseminare, sviluppandole in quest’ordine e innescando così un processo circolare che si propaga per onde successive nel fare, nel condividere, nell’innovare.

 Qualunque spazio sia da riprogettare sia esso a livello fisico, sociale, emotivo e razionale, si parte sempre dalla connessione, dalla sperimentazione condivisa che abilita all’apprendimento che nella condivisione dissemina oltre i suoi confini e genera innovazione.

In questo senso non c’è una “ricetta” unica, ma ci sono cinque ingredienti fondamentali che un’azienda deve combinare in base al proprio contesto. 

 

Il welfare aziendale che ruolo può giocare in questa trasformazione organizzativa?

Il welfare aziendale avrà un ruolo sempre più importante, sia a livello compensativo – di fronte alla sempre minor capacità di spesa pubblica per fronteggiare fenomeni come la denatalità e l’invecchiamento della popolazione – che generativo. Se infatti l’azienda saprà costruire un piano di welfare a partire dall’ascolto con risposte puntuali e specifiche, allora sarà uno strumento di innovazione organizzativa e di wellbeing

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Intervista a cura di Anna Zavaritt - giornalista e contributor JOINTLY