Anna Zavaritt, giornalista e contributor JOINTLY, ha intervistato per noi Francesca Ferrario, partner di Studio Lupi & Associati. Ne è emerso un interessante approfondimento che ci aiuta a "guardare" il benessere organizzativo da un punto di vista diverso - quello normativo - e capire meglio perché è una responsabilità condivisa tra l’azienda e tutti i suoi manager

Buona lettura!

 

Il benessere organizzativo è già tutelato per legge attraverso la normativa sullo stress da lavoro: cosa prevede nel concreto?

La materia è normata dal D.lgs. 81/08, il quale impone ai datori di lavoro di valutare e accertare, al pari di ogni altro rischio per la salute dei lavoratori, il livello, la probabilità e il correlativo rischio di stress sui luoghi di lavoro.

Al fine di prevenire il rischio da stress lavoro-correlato, i datori di lavoro sono tenuti ad osservare una specifica metodologia di valutazione (proposta dalla Commissione permanente per la Salute e la Sicurezza sul lavoro del Ministero del Lavoro), la quale rappresenta l’adempimento minimo per ottemperare al corrispondente obbligo di legge.

Ovviamente, tale verifica non può prescindere dal grado di adeguatezza dell’organizzazione e dei processi di lavoro (su cui incide la disciplina dell’orario di lavoro, il grado di autonomia richiesto, i carichi di lavoro), dalle concrete condizioni di lavoro e ambientali (suscettibili di esporre i lavoratori a comportamenti illeciti, rumori, sostanze pericolose), dall’efficacia dei canali di comunicazione interni (ad es. in ordine alle attività da svolgere o alle prospettive di impiego) e da fattori tipicamente soggettivi (tra cui, in primis, la capacità gestoria del management).

Infine, sulla base dei dati raccolti, il datore di lavoro è tenuto a predisporre e adottare, coerentemente alle attuali conoscenze tecnico-scientifiche, tutte le misure idonee a eliminare o, quanto meno, arginare gli effetti pregiudizievoli dello stress sulla salute dei lavoratori, anche - e soprattutto- mediante un’attenta sorveglianza sanitaria, eventualmente supportata da figure professionali competenti in ambito psicologico.

 

Le sentenze della Cassazione in ottobre 2022 hanno “rivoluzionato” o quantomeno innovato i doveri in capo all’azienda?

Le sentenze gemelle della Cassazione dell’ottobre 2022 (nn. 29611e 31514) si pongono sicuramente in continuità al crescente bisogno di benessere dei dipendenti, avendo - di fatto - allargato le maglie della responsabilità del datore di lavoro in materia di tutela della sicurezza e salute, sino a ricomprendervi le ipotesi di (generico) malessere del lavoratore.

Infatti, come confermato da ultimo con sentenza n. 2084 del 19 gennaio 2024, la Cassazione tende oggi a riconoscere la responsabilità del datore di lavoro anche per quel malessere del dipendente derivante dalla stressogena organizzazione e dall’ansiogeno ambiente di lavoro, pur se i singoli atti - causativi della lesione alla salute - non configurino un comportamento di per sé illecito o di tipo vessatorio (cd. mobbing).

È innegabile, pertanto, l’attuale tendenza giurisprudenziale ad estendere la responsabilità datoriale anche oltre alle ipotesi in cui il malessere derivi dalla specifica mansione svolta (o dalle singole lavorazioni effettuate) o sia causato da condotte di mobbing, straining, burn out, molestie, stalking.

Alla luce di tali pronunce, non è dunque più trascurabile la necessità per il datore di lavoro di adottare un modello organizzativo idoneo a garantire, sotto molteplici aspetti, il benessere del lavoratore, e, al contempo, escludere che sul posto di lavoro si sviluppino situazioni di ansia e stress, sempre più spesso capaci di travalicare la dimensione lavorativa e ripercuotersi sulle condizioni di salute psico-fisica dei lavoratori.

 

Dal vostro punto di vista, le aziende si stanno muovendo e come?

Le aziende sono sempre più consce del cambiamento in atto nel mondo del lavoro e, soprattutto, delle nuove esigenze dei lavoratori alla base della correlativa transizione.

La principale leva per assecondare - e rimanere al passo con - il processo di trasformazione è la leadership, che deve essere in grado di adattarsi al nuovo contesto e garantire un ambiente di lavoro basato sul benessere individuale e collettivo, nonché su relazioni sane e proficue.

È proprio in tal senso che le aziende si stanno muovendo, privilegiando corsi formazione specifica per i propri manager, volti, da una parte, a valorizzarne le doti di leadership e, dall’altra, incrementandone le capacità empatiche e di intelligenza emotiva, di ascolto e di gestione umana delle risorse.

A tali interventi formativi vengo spesso accostati dedicati bonus economici, da erogare ai manager al raggiungimento di un efficiente livello di sostenibilità e benessere dell’organizzazione di lavoro, quale veri e propri incentivi al miglioramento delle condizioni e dell’ambiente aziendale.

Tali misure sono oggi avvertite come imprescindibili per strutturare una organizzazione del lavoro adeguata, che sia cioè in grado di rispondere sia agli emergenti bisogni dei lavoratori, che alle nuove tendenze giurisprudenziali, esplicitamente volte a salvaguardare tutto lo spettro psicologico del dipendente.

Per altro verso, si registra un sempre più ampio ricorso a strumenti di welfare aziendale, dalle forme variegate. Si va dalle misure di supporto alla genitorialità e alla famiglia (come gli asili nido o i programmi di aiuto per i caregiver), ai programmi di prevenzione per la salute, agli strumenti che agevolano l'equilibrio tra tempi di vita e di lavoro, la formazione, lo sviluppo di competenze. Questo tipo di benefici, grazie anche a vantaggi contributivi e fiscali per aziende e lavoratori, vanno sempre più spesso a sostituire premi prettamente economici, che oggi rischiano di essere anacronistici e, soprattutto, non sufficientemente attrattivi se non accompagnati da una politica di corporate wellbeing.

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A cura di Anna Zavaritt - giornalista e contributor JOINTLY