Abbiamo passato mesi a riflettere su ciò che di buono la pandemia, di punto in bianco, ci ha portato via. Che è tanto. Sarebbe il caso che iniziassimo a concentrarci un po’ anche su ciò che ci sta lasciando. Che comunque non è poco.

L’esempio più evidente è il Piano nazionale di ripresa e resilienza approvato in Italia nel luglio del 2021. Vale a dire lo strumento di programmazione tecnica ed economica con cui il governo promette non soltanto di aiutare il cosiddetto “sistema paese” a superare gli inciampi arrivati con l’emergenza, ma soprattutto di traghettare imprese, enti e cittadini verso un modello di futuro più resiliente e sostenibile.

L’opportunità rappresentata dai wellbeing provider

E proprio la sostenibilità, ancora prima che la resilienza, è forse il tratto distintivo di questo piano da 222 miliardi di euro con cui l’Italia ha potuto concedersi il lusso di reimmaginare il proprio domani contando sulle garanzie europee. Sostenibilità su cui il corporate wellbeing, che è il modo in cui stiamo imparando a ridefinire il welfare aziendale, promette di giocare una partita da assoluto protagonista.

Ne è convinto anche Emmanuele Massagli, il presidente dell’AIWA, l’associazione italiana welfare aziendale che riunisce i principali welfare provider del paese. Secondo Massagli, le aziende che operano nel comparto del corporate wellbeing possono rappresentare una grande opportunità per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità indicati dal Pnrr.

Il “coefficiente sostenibilità” del welfare nel PNRR, secondo l’AIWA:

  • mobilità (mezzi pubblici, car sharing)
  • mobilità “verde” (auto, bici, monopattini elettrici)
  • spese personali direttamente o indirettamente collegate al lavoro
  • spese per familiari o per altre persone a carico
  • costi materiali home-working
  • spese fisse lavoratori “ibridi” (affitti, servizi, strumenti)
  • investimenti per la conciliazione vita-lavoro

Con la sigla “ESG” la sostenibilità entra nel welfare (e nel PNRR)

Le misure tratteggiate da Massagli, che pure aiuterebbero molto, non sono però che un innesco se si pensa alle opportunità che la sostenibilità avrebbe di entrare nel PNRR attraverso ben altre iniziative di welfare aziendale. In quest’ottica, basterebbe pensare al corporate wellbeing in chiave ESG.

Dipendenti, clienti e consumatori stanno dimostrando di apprezzare molto le scelte e, più in generale, la maggiore sensibilità delle aziende rispetto alle tre principali declinazioni della sostenibilità: ambientale, sociale e di governance. Ed è proprio questa sensibilità che in ottica welfare e PNRR si traduce in un ulteriore, potenziale moltiplicatore di opportunità.

 
Il vantaggio competitivo di chi sceglie il welfare aziendale


Senza contare, poi, i vantaggi che lo stesso PNRR è in grado di assicurare alle imprese che scelgono di sviluppare piani di welfare aziendale.

Una norma specifica, introdotta per regolamentare l’accesso ai fondi pubblici garantiti dal PNRR, introduce, infatti, un sistema di premialità graduale per quegli operatori economici che abbiano adottato provvedimenti destinati a generare un effettivo impatto sociale nelle loro organizzazioni.

La norma si concentra in particolare su due diversi tipi di interventi: quelli destinati a favorire una migliore conciliazione delle esigenze di cura, vita e lavoro dei collaboratori, e quelli legati all’introduzione di modalità innovative nell’organizzazione del lavoro (digitalizzazione dei processi, orari flessibili, lotta alle disparità).

 
Così il PNRR premia direttamente le imprese


Osservando il provvedimento da ancora più vicino, è interessante infine scoprire nel dettaglio la visione del governo in ottica corporate wellbeing. La lista delle misure indicate nelle “Linee Guida” della norma che prevede premi alle aziende che scelgono piani di welfare aziendale consente, infatti, di tracciare una specie di identikit dell’organizzazione “PNRR oriented”.

Tra le misure:

  • asili nido aziendali
  • nuove regole per l’aspettativa personale retribuita
  • integrazioni economiche alle indennità per i congedi parentali
  • piani di formazione per pari opportunità e inclusione
  • identificazione di “diversity manager” in azienda


Si va dalla creazione di asili nido aziendali (o territoriali convenzionati) all’adozione di una regolamentazione specifica per la concessione di un periodo di aspettativa legata a motivi personali; da una integrazione economica alle già previste indennità in materia di congedo parentale, fino alle iniziative a supporto dei caregiver; ma non mancano i riferimenti ai piani di formazione in tema di pari opportunità e inclusione, o l’identificazione di nuove figure aziendali come i diversity manager.

Sostenibilità ambientale, sociale e di governance, in fondo, vuol dire anche questo.

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Valerio Sordilli – giornalista e contributor Jointly