I primi ad accorgersi dell’opportunità che gli si spalancava davanti, come già era successo in passato con altre intuizioni, sono stati gli specialisti del marketing. Tempo dopo altri colleghi di altre divisioni aziendali hanno fiutato la portata del fenomeno e recuperato il terreno perso. Nel frattempo, la sensibilità intorno al tema cresceva. Così, quando l’idea di una nuova cultura d’impresa fondata sulle persone è arrivata a suscitare l'interesse dei responsabili delle divisioni HR, anche l’ultimo argine era crollato. Le conseguenze della pandemia, poi, hanno fatto il resto: accelerando i processi interni e portandoci spediti al punto in cui siamo ora. Ovvero una fase in cui la strada è tracciata e quel che resta da fare è rassicurare le imprese più scettiche sulla sua affidabilità. In che modo? Assicurando loro che riscrivere i propri modelli organizzativi, offrendo una nuova centralità ai collaboratori, è la sola strada possibile per garantirsi un futuro nell’economia globale che si sta delineando nel post emergenza.

Nel “new normal” il Wellbeing diventa la priorità

Cosa devono aspettarsi le imprese nei prossimi anni, del resto, lo hanno spiegato bene gli analisti del World Economic Forum riuniti a Davos nel 2021. Nella “nuova normalità” del lavoro, hanno sottolineato, la priorità sarà il wellbeing. A questo punto l’unica domanda ad avere senso è anche la sola necessaria per chiudere il cerchio e spiegare in che modo questi due concetti - centralità dei collaboratori e wellbeing come priorità - possano coincidere nei fatti. E la domanda è: di cosa parliamo, esattamente, quando parliamo di Wellbeing in azienda? Le imprese stanno imparando a riconoscere che insieme al portato di competenze esclusive, abilità specifiche e inclinazioni personali, ogni collaboratore è prima di tutto l’insieme di un complesso sistema di sensibilità e bisogni. Aspetti che superano il contesto professionale e dall’engagement personale si estendono fino alla sfera familiare.  

Le cinque dimensioni del benessere

Bisogni e sensibilità, oltretutto, che variano da individuo a individuo. Anzi, di più: da momento a momento, in funzione delle circostanze e della stagione della vita di quella persona. One size doesn’t fit all” è infatti la formula ricorrente di chi oggi promuove questa visione people oriented degli assetti organizzativi dell’impresa. Una visione che si traduce, nella vita aziendale di tutti i giorni, con una nuova interpretazione del concetto di wellbeing. A cui oggi attribuiamo almeno cinque differenti dimensioni:
  • Psicofisica: che si manifesta nella capacità di agire con energia e compiere scelte sane dentro e fuori il contesto professionale
  • Relazionale: che si riflette nei rapporti e nelle relazioni della vita quotidiana
  • Economica: che si esprime nella capacità di gestire con sicurezza le proprie finanze e prepararsi a eventuali inciampi futuri
  • Conciliativa: legata all’armonia tra lavoro e vita privata e visibile ​​sotto forma di esperienze positive, in grado di generare orgoglio, soddisfazione e valore in ogni ambito
  • Cognitiva: legata allo sviluppo di nuove competenze vita-lavoro e riconoscibile nella capacità di evolvere come persona attraverso connessioni significative
 

Il wellbeing “parla” alle aziende delle proprie persone

Chiarito questo aspetto, l’obiezione allora potrebbe essere un’altra e riguardare il modo in cui queste cinque dimensioni del benessere riescono, tecnicamente, ad abbracciare l’insieme dei bisogni della popolazione aziendale. In altre parole: in che modo le persone verrebbero “messe al centro”? Il passaggio dalla teoria alla pratica è materia articolata e varia da organizzazione a organizzazione, coinvolgendo direttamente le divisioni HR. Il primo passo impone all’azienda di tracciare la mappa dei bisogni globali e specifici dell’intera forza lavoro. Un processo di indagine e analisi indispensabile agli HR per definire traiettorie e strategie da seguire. Da qui il percorso prevede una necessaria prioritizzazione delle esigenze e il conseguente sviluppo di una roadmap di medio-lungo termine. Alla quale non può non seguire la definizione di un accurato piano di comunicazione interna che informi e tenga aggiornati i collaboratori circa le opportunità messe loro a disposizione. L’avvio di piani che offrano la massima possibilità di scelta e flessibilità diventa allora la conditio senza la quale nulla si terrebbe in piedi. Come pure indispensabile, per la buona riuscita del piano, risulta la misurazione dell’efficacia delle soluzioni ottenuta attraverso il feedback diretto dei collaboratori e l’analisi dei KPI.  

“If you don’t understand people you don’t understand business”

E mentre le imprese si preparano a un cambio di paradigma senza precedenti, si arricchisce la lista di chi ritiene questa rivoluzione culturale l’unica strada possibile. L’ultimo in ordine di tempo è lo scrittore e saggista inglese Simon Sinek, esperto di organizzazione aziendale. Che sul tema “centralità della persona” si è rivolto direttamente ai manager e, per dirla in termini scientifici, l’ha toccata piano: “100% of employees are people. 100% of customers are people. 100% of investors are people. If you don't understand people you don't understand business”.   Valerio Sordilli - giornalista e contributor Jointly